venerdì 20 aprile 2012

In "termini" di legge

E' stato reintrodotto il termine "pirati" sotto un'accezione criminale, per nulla avventuriera e ancora più lontanamente romantica. Una riduzione giornalistica che solo per una già avvenuta decomposizione non ha sodomizzato Salgari. Da alcune settimane abbiamo avuto l'occasione di familiarizzare anche col termine "marò", gli uomini del Reggimento San Marco, a causa della morte di due pescatori indiani scambiati per pirati e, secondo l'accusa, uccisi dai due soldati italiani.

Familiarizzare è la parola giusta, incontro tutti i giorni i due militari da quando sul Municipio del mio comune è stata affissa una coreografia da stadio che urla Salviamo i nostri marò bordata da un tricolore che fa tanto littorio e anche tanto sindaco.

La vicenda ruota attorno alla diplomazia tra Italia e India e alla giurisdizione di chi deve farsi carico di accertare e giudicare. Sin dall'inizio ne ho fatto una questione terminologica, non a caso, in quanto credo non ci sia molto da salvare. Stando ai fatti non sono ostaggi nè di maoisti (vi sembrano così arcaici? A Bologna i maoisti si incontrano prima dei tortellini) nè di arrapate ciccione bulimiche.
Sono in corso accertarmenti, trattenere i due marò nelle carceri indiane probabilmente sarà illeggitimo come saranno tali anche le lungaggini burocratiche dell'India tra cui cambiare il nastro d'inchiostro alla macchina da scrivere, ma salvare è un'altra cosa.

E' dura affrontare questo tema se vuoi tenerti lontano da scomode, imprecise, strumentali etichette. Non mi interessa scivolare nella trappola antimilitarista approfittando dell'occasione per dare dell'assassino a chi sceglie di svolgere un percorso lavorativo nell'esercito (sarebbe da tener d'occhio il rapporto tra disoccupazione e vocazione militare) nè mi interessa rinverdire ad hoc il mio patriottismo, non sono Benigni.


(Municipio, Castellammare di Stabia)

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