Il mio commento al racconto della scrittrice croata.
Morte al minibar!
Morte al minibar!
Alla reception riempio il modulo con tutti i miei dati e prendo la
chiave. Mentre mi avvio verso la stanza la receptionist mi fa: “Vuole
aprire un conto nell’hotel?”. “Cos’è?”, chiedo. “Significa che non deve
pagare immediatamente per tutto quello che prende o che usa nell’hotel,
deve solo darci il suo numero di conto”. Rispondo di no. A che mi serve
un conto nell’hotel? Starò qui solo tre giorni. La colazione è compresa e
sarò in giro per la maggior parte del tempo.
La stanza è grande, lussuosa, e ha un profumo fresco. I mobili sono
sicuramente nuovi di zecca, il bagno è enorme e le pesanti finestre si
aprono delicatamente premendo un pulsante. Non ho neppure cominciato a
disfare la valigia quando sento bussare alla porta. “Ha bisogno di
qualcosa?”, chiedo al giovane fattorino. “Mi spiace, ma devo chiudere a
chiave il minibar”. “Perché?”. “Perché non ha aperto un conto
nell’hotel”, risponde dirigendosi verso il minibar, mettendolo sotto
chiave e andandosene.
A un tratto sento la lama dell’invisibile spada dell’ingiustizia
puntata contro la mia nuca. Io non li uso neppure, i minibar. Non vado
d’accordo con l’alcol, non mi piacciono le patatine unte e stantie, odio
le noccioline di ogni tipo, le barrette caramellate di dubbia origine
non sono il mio genere, gli strani liquidi imbottigliati mi provocano
immancabilmente il bruciore di stomaco e le bibite analcoliche gassate
fanno semplicemente male alla salute. La conclusione è che un minibar
non contiene nulla che io possa desiderare. E allora perché mi sento
così umiliata? Solo perché il fattorino ha chiuso a chiave il minibar?
Ha forse messo un lucchetto alla doccia, al rubinetto del bagno, al
telecomando della tv, alla tavoletta del wc? Niente di tutto questo.
Cerco di razionalizzare, di consolarmi pensando al letto voluttuoso o
alla doccia calda: tutto inutile. Sono inconsolabile. È una disperata
sensazione di perdita.
Dicono che il minibar sia stato realizzato per la prima volta da una
ditta tedesca, la Siegas. Ma a quanto sembra dobbiamo la sua
onnipresenza all’intuito visionario di un direttore d’albergo, Robert
Arnold. Wikipedia ci informa che Arnold era su un aereo della Thai
Airways in volo da Bangkok a Hong Kong nel 1974 quando vide per la prima
volta delle minuscole bottigliette di alcolici. Arnold ordinò una
partita di bottigliette e il suo datore di lavoro, l’Hilton del posto,
decise di scommettere sull’onestà dei suoi clienti. Li ribattezzarono
Honesty minibar. Qualche mese dopo, nel mondo degli alberghi si diffuse
la notizia che l’Hilton di Hong Kong aveva quintuplicato la vendita
degli alcolici. Da allora i minibar sono una componente obbligatoria di
ogni albergo del mondo. Tutto grazie a Robert Arnold e a un’epifania
ispirata da un rapido sguardo a una minuscola bottiglia. Tra parentesi,
delle bottigline di questo tipo si vendevano nei bar di quella che un
tempo era la mia patria. Gli appassionati le chiamavano affettuosamente
“piccolini”.
In effetti è questo il punto: l’amore. I minibar sono una questione
d’amore. Pensiamoci un attimo: cos’è in realtà un minibar? Un minibar è
concepito come una casa di bambole per adulti. Gli uomini amano i loro
“piccolini”. Le fiaschette tascabili, il sogno adolescenziale dei
settantenni di oggi, erano soprannominate “amichetti”. Piccolini,
amichetti, minibar: sono tutti diminutivi per una colpa. Ma il
diminutivo di colpa non è più una colpa, è una simulazione della colpa. E
questo spiega l’effetto straordinario del minibar.
Per molti uomini d’affari che si sentono soli, il minibar è il
sostituto simbolico della casa. Tornare in camera tua, aprire lo
sportellino del frigo, stappare una bottiglia di birra, sprofondare in
poltrona e mettere i piedi sul tavolo: è un rituale profondamente
radicato nell’immaginario, perfino per quelli che non tornano a casa,
non aprono il frigo e non tirano fuori una birra.
Il minibar è anche concepito come un kit di pronto soccorso: magari
non lo avete mai usato, però il pensiero di averne uno vi fa sentire
sicuri e protetti. È per questo che certi minibar contengono anche
dei preservativi. Amichetti che vi proteggono dai piccolini.
Infine, il minibar è una specie di tempio, un luogo dove ci troviamo a
tu per tu con la metafisica. Vi svegliate in una stanza d’albergo dopo
un incubo. Circondati da un’oscurità indifferente, non c’è nessuno ad
abbracciarvi e consolarvi. Il minibar emana una luce fioca
(trascendente), bottiglie e pacchetti se ne stanno dritti con aria
contrita, come in una cappella. Il minibar irradia serenità. Nel buio
spaventoso di una stanza d’albergo, questa visione illuminata agisce
come il diazepam. Va tutto bene. Sono tornato nella realtà: l’incubo è
finito.
Questo psicodramma – casa, colpa, pronto soccorso, tempio – si
risolve al banco della reception quando te ne vai. La risposta è la
domanda finale e definitiva che ogni receptionist rivolge a ogni cliente
in ogni albergo del mondo: “Ha preso qualcosa dal minibar?”. In quel
momento il cliente sente il morso doloroso della colpa metafisica.
Honesty minibar? In certi hotel le cameriere controllano il contenuto
del minibar ogni mattina rifornendolo immediatamente e rendendo inutile
questa domanda. Eppure tutti i receptionist la fanno, e la fanno tutti
con lo stesso tono arrogante. La rabbia del cliente comincia a montare.
Non solo hai pagato in anticipo la stanza, non solo hai pagato un
costosissimo caffè nel bar dell’albergo, non solo hai pagato questo,
quest’altro e quest’altro ancora, ma poi devi sopportare un semplice
receptionist che ti sottopone a un test umiliante sulla tua onestà.
Nulla è gratis nella vita. Niente da obiettare. Ma perché, perché il
costo è così alto?!
Il minibar è una scappatella costosa, proprio come una seduta
psicoanalitica. Il minibar riproduce lo stesso modello. Da qui il tono
autoritario del receptionist, da qui le indagini nella tua stanza e le
ispezioni in tua assenza, da qui la tua legittima rabbia davanti a un
insopportabile sfoggio di potere. In questa seduta psicoanalitica il
receptionist si trasforma in una madre o un padre autoritari, nel tuo
capo al lavoro, nella polizia, in un’istituzione con cui è impossibile
negoziare. Perdio, potresti fregarti gli asciugamani, gli accappatoi, la
lampada da tavolo, potresti smontare il lavandino o i rubinetti della
doccia e filartela impunemente con tutta questa roba, ma è un pensiero
che non ti aiuta. Ti immobilizzano contro la parete per un’infima
bottiglia di pessimo vermut e un pacchetto di patatine rancide.
Non so se chi lavora negli alberghi legge i forum di internet. Basta
digitare la parola “minibar” per vedere apparire gli eserciti degli
arrabbiati, spesso impegnati a combattere una guerriglia personale.
Sapevate che ci sono persone che urinano nelle bottiglie di birra vuote e
le rimettono a posto nel minibar? E che c’è chi cosparge di lacca per
capelli la base delle bottiglie e poi le incolla alle mensole del frigo,
costringendo il cliente successivo a lottare spasmodicamente per
cercare di staccarle? Sapevate che se non controllate il minibar al
vostro arrivo nella stanza, probabilmente vi stangheranno per una mezza
bottiglia di birra che qualcuno ha furtivamente infilato nel vostro
frigo?
E che ne dite di questo: esistono perfino dei minibar con sensori
incorporati che registrano ogni movimento e cambiamento di peso, in modo
che se non rimettete a posto la bottiglia o le patatine nel giro di
dieci secondi dovrete pagarli comunque. A chi non salterebbero i nervi?
Cercano in ogni modo di appiopparti un bicchierino e allo stesso tempo
pretendono la tua onestà. Hanno deciso tutto in anticipo: sei un ladro,
un truffatore e un alcolizzato. Il minibar è il simbolo del mondo
totalitario. A proposito, siete sicuri che alle porte del paradiso
san Pietro non vi accoglierà con la domanda: “Hai preso qualcosa dal
minibar senza pagarla?”, e poi, a seconda della vostra risposta, vi
manderà in un albergo celeste a una, tre o sette stelle?
Nella mia lingua madre la parola “minibar” contiene molti altri
termini. Due sono particolarmente significativi in questo contesto: rab o
rob, che significa “schiavo”, e mina, come in mina terrestre. Il
minibar è un campo minato, perché appena ne incroci uno diventi uno
schiavo. Oggi che quasi tutti i sistemi totalitari sono esplosi
(d’accordo, sarebbe meglio dire che sono implosi), il minibar è una
granata totalitaria annidata in uno spazio accogliente privo di
qualunque ideologia: la stanza d’albergo. Il minibar è l’ultimo bastione
del totalitarismo, il suo nido invisibile. Lottare contro il minibar è
possibile, ma solo con azioni di guerriglia personale.
E così, tornando all’hotel di cui parlavo all’inizio, questa è la mia
confessione: ho lanciato il mio assalto al minibar nella stanza 513.
L’ho spinto nel bagno. L’ho sfigurato con la chiave dell’albergo
incidendo morte al minibar! sulla sua superficie levigata. L’ho gettato
nella vasca da bagno e ho aperto il rubinetto. E alla fine, quando la
receptionist mi ha chiesto: “Ha preso qualcosa dal minibar?”, ho
risposto: “Non mi avrete neanche morta!”.
Dobbiamo unire le nostre teste. Se gli hotel sanno mettere sensori
nei loro minibar, presto troveranno il modo di farci pagare anche solo
il pensiero che potremmo aver voglia di qualcosa.
Traduzione di Gigi Cavallo.
Internazionale, numero 925, 25 novembre 2011
Dubravka Ugrešić è una scrittrice croata. Vive ad Amsterdam. Il suo ultimo libro è Baba Yaga ha fatto l’uovo
. Questo articolo è uscito sulla Paris Review con il titolo “Assault on the minibar”.
Da Internazionale.
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